Oggi vorremmo parlare di un altro aspetto, evidenziare il punto di vista e le difficoltà degli agricoltori, e di quanto non si possa più aspettare un intervento che corregga le ingiustizie e anche gli sprechi di una delle filiere più importanti del nostro Paese.
A mettere in evidenza questo aspetto, due giornalisti della Scuola di giornalismo di Perugia Simone Carusone e Davide Denina che hanno realizzato un ottimo servizio sulle coltivazioni di pomodori in Sicilia (e che vi proponiamo a fondo pagina): «Ci siamo appassionati al tema delle condizioni sociali dei braccianti e abbiamo cercato di capirne le cause inquadrando la questione dal punto di vista economico». Carusone e Denina non parlano di caporali. Ma con una lucida analisi ci raccontano la stortura di una filiera che non premia nessuno: non i braccianti, non i produttori e sicuramente non i consumatori complici a volte ignari di un sistema malato che non sanno comunque di pagare. Già, perché quel basso prezzo dei pomodori al supermercato è compensato dallo Stato. E dalle nostre tasse dunque.
Qualche dato per inquadrare bene la situazione.
Oltre un terzo dei pomodori italiani che arrivano sulle tavole viene coltivato in Sicilia: 380mila tonnellate su 11500 ettari. A fine 2015, nei Comuni di Vittoria, Comiso, Santa Croce e Acate, erano registrate 4226 aziende agricole in cui lavorano 17mila 200 braccianti. In maggioranza tunisini e romeni che vivono in campagna. Non ci soffermiamo sul come vivono perché lo vedrete bene nel video. Vogliamo invece mettere in evidenza il tipo di pagamento, specificando che in questi casi non si parla di caporalato.
Normalmente i braccianti guadagnano 33 euro al giorno, ma, si spiega nel video: «Se il contratto fosse rispettato, questo bracciante otterrebbe una retribuzione giornaliera di 58 euro e 50 centesimi. In questo caso non si tratta di caporalato. Tra i proprietari delle aziende la sottopaga dei dipendenti è una pratica molto diffusa. Tanto poi ci pensa l’Inps. Per poter sfruttare il sussidio di disoccupazione, basta che il titolare dichiari in busta meno giornate di quelle effettivamente lavorate dai dipendenti nel corso dell’anno. […] 102 giorni è il requisito minimo per avere l’indennità di disoccupazione per i lavoratori occupati in agricoltura stagionali. L’indennità paga il 40% del salario contrattuale. A un’analisi superficiale, sembra quasi che il sussidio sia un favore concesso ai dipendenti. […] Il datore di lavoro considera l’indennità di disoccupazione come salario. Quindi è vero che io ti do trenta euro, però tu hai anche l’indennità di disoccupazione». Che è un po’ come dire: io ti do trenta euro al giorno, tanto il resto te lo dà lo Stato. Il risultato? Nel 2015 l’illegalità in agricoltura ha sottratto allo Stato circa 600 milioni di euro. «Le storie di questi braccianti rappresentano l’insostenibilità di un’economia che affonda le sue radici nell’assistenzialismo. Occorre riformare una filiera sbilanciata e ingiusta, che non lascia niente nei territori da cui trae nutrimento. È inutile etichettare il pomodoro made in Italy, dimenticandosi di chi, quell’Italy, la manda avanti.» ci ricordano Carusone e Denina. E non possiamo che essere completamente d’accordo con loro.
Fonte: http://www.slowfood.it/spesa-quotidiana-perche-importate-scegliere/
Immagine: ansa.it